Riflessioni su una regione “anomala” che dopo più di 60 anni si conferma perno politico, economico e sociale della sinistra. Uno stimolo che il PDL deve saper cogliere.

I recenti referendum con le evidenti implicazioni politiche, le elezioni amministrative tenutesi in Emilia Romagna, e particolarmente a Bologna, Ravenna e Rimini, confermano, aldilà di alcune limitate eccezioni, il fatto paradossale che nonostante un benessere diffuso ed un certo pluralismo economico, permane una sinistra che, da un punto di vista organizzativo, si presenta ancora forte ed abbastanza solida, in grado di controllare il consenso e dunque conservare il potere politico senza eccessive difficoltà, avvalendosi di agili strutture economiche funzionali ai propri obiettivi come le cooperative più che mai in simbiosi con gli enti locali; al riguardo ho proposto in parlamento, proprio in questi giorni, una commissione di indagine parlamentare sulle relazione fra enti locali e sistema delle cooperative, per accertare anomale commistioni, eventuali abusi e privilegi ai danni dei cittadini, commessi per favorire una sola parte politica.
E’ più che mai  opportuno chiedersi quali siano i motivi per cui il PDL non sia  riuscito, di fatto, a condizionare il PD e la sinistra nonostante le oggettive debolezze e gli scandali che hanno caratterizzato questi ultimi; se è vero che il PD bolognese ad esempio ha impostato una dura battaglia ideologica che ha evitato confronti sul programma qualificandosi per il presunto rischio del “Governo della destra” è altrettanto vero che un certo tasso di rissosità e divisione ha indebolito la proposta del PDL rendendola scarsamente credibile per quelle fette di elettorato disilluse dal Governo della sinistra. Perché il muro di potere dell’ex Pci, insomma, resta nella sostanza inalterato, sbrecciato soltanto in alcune (per la verità poche) parti?
Il PDL deve avere il coraggio di porsi questi interrogativi, perché solo dalle loro risposte ne potrà uscire una strategia globale sufficientemente credibile per sfidare la sinistra, abbandonando una politica di piccolo cabottaggio e ponendosi obiettivi prestigiosi e niente affatto irraggiungibili evitando pertanto un pericoloso sentimento di rassegnazione all’inelluttabilità del governo della sinistra nelle nostre realtà? Questo è il punto fondamentale da affrontare: come si può convincere l’elettorato al cambiamento quando in noi stessi non c’è forse l’intima convinzione di riuscire a vincere? In sostanza dobbiamo uscire da uno stato d’animo di partito di opposizione per divenire partito di governo ed in questo senso occorre una analisi precisa e spregiudicata della realtà sociale emiliano romagnola, delle sue stratificazioni e cambiamenti, del citato quadro economico ed istituzionale, accanto però ad una maggiore considerazione dei vertici nazionali del partito che hanno sempre considerato l’Emilia Romagna una regione “persa”. E’ però importante sottolineare il fatto che il PDL deve darsi “un’anima” riscoprire la sua vocazione interclassista secondo la tradizione cattolico-liberale e declinare a livello nazionale e locale la sua appartenenza al partito popolare europeo, accentuando soprattutto oggi i valori etici imprescindibili dell’azione politica.

IMPRENDITORI E LAVORATORI SOTTO LO STESSO TETTO

Il punto da cui prendere le mosse è il mondo dell’economia, degli affari e della cooperazione. E’ qui che affonda le radici il patrimonio di voti del PD: perché, se è vero che il tessuto produttivo dell’Emilia Romagna è costituito da una miriade di piccole e medie aziende, è anche vero che coloro che guidano quelle stesse realtà imprenditoriali non hanno mai realmente dimostrato di avere dubbi al momento del voto: prima compattamente per la falce e martello ora altrettanto compattamente in nome della conservazione dell’esistente.
Ed ecco l’anomalia di fondo della regione. Secondo gli schemi classici della politica, l’imprenditore dovrebbe essere più attento ai partiti di ispirazione liberaldemocratica, a quelli cioè nel cui dna trova un posto principale il gene della creazione della ricchezza, della libertà, vista come strumento e condizione principale per garantire solidarietà. Invece no. Da Piacenza a Rimini, pur con sfumature diverse ( ma si tratta di sfumature e mai di sostanza) chi produce ha sempre trovato naturale, quasi doveroso, indirizzare i propri consensi a partiti che almeno ideologicamente si ponevano l’obiettivo di limitare quelle libertà, che contestavano (o avrebbero dovuto farlo nel rispetto del loro dettato ideologico) la creazione della ricchezza facendo prevalere l’esigenza di solidarietà. Insomma per usare vecchie categorie “padroni” ed “operai” non avversari su sponde opposte e configgenti, bensì sempre puntualmente uniti sotto le stesse bandiere. Un fenomeno che si è ripetuto anche alle più recenti elezioni amministrative e politiche.

CONSOCIATIVISMO POSITIVO ED INTRUSI

Alcuni esempi? Purtroppo è facile trovarli. La potentissima Confederazione Nazionale dell’Artigianato CNA che in altre regioni non esita a votare per il centro destra, in Emilia Romagna da sempre è contigua alla sinistra (ovviamente non mi riferisco agli artigiani “bianchi” pure presenti in modo significativo nella nostra regione ed aderenti alla Associazione Nazionale Artigiani). Per non parlare di settori della Confindustria, anch’essa usi sovente a ripararsi all’ombra dei grandi rami della quercia. Siamo al consociativismo istituzionalizzato, che non ha mai scandalizzato nessuno e sul quale nessun partito organizzato alternativo alla sinistra ha voluto intervenire (o non ha mai creduto di poterlo fare), accontentandosi di quella politica “minore” che ricordavo poc’anzi. Ma c’è un altro aspetto da mettere in luce, forse ancora più anomalo del primo. In Emilia Romagna, il centro destra continua ad essere vissuto come una specie di “intruso” sul palcoscenico della politica attiva , come un marziano da guardare con curiosità , ma anche da tenere  a debita distanza. Qualche speranza  può essere riposta nei giovani, che continuano però in massa a rispettare la “tradizione” di famiglia di votare a sinistra (e anche questa sudditanza del figlio al padre, se si guarda con attenzione, è un’anomalia). Ogni distacco dalla consuetudine è interpretato come rottura e pericolo rispetto ad equilibri consolidati da decenni: in ciò probabilmente incide anche il tipico, ancorché poco noto, istinto conservatore degli emiliano romagnoli, settant’anni fa convintamene fascisti, ieri comunisti e oggi comunque di sinistra senza porsi, come al solito, tanti dubbi. E’ come se il PD rappresentasse l’unica soluzione credibile sul terreno della politica, in realtà a Bologna come a Modena e  Reggio si ha paura del cambiamento e si preferisce mantenere a differenza di altre regioni del Nord, l’ombrello protettivo della sinistra che nella nostra realtà più che in altre regioni ostenta una fisionomia interclassista. La stessa presenza della Lega, fatto nuovo di queste elezioni, che mira scientemente ad assumere il ruolo di vera alternativa alla sinistra, pur significativa e dotata di apporti economici rilevanti ed appoggi nei principali quotidiani della Regione, non è riuscita a scalfire la forza della sinistra erodendo caso mai il nostro tradizionale consenso (dobbiamo interrogarci su questo aspetto).

COSCIENZE NARCOTIZZATE

Una opzione che trova la sua forza anche in un altro terreno. Se osserviamo l’Emilia Romagna da un punto di vista storico, ci accorgiamo che la regione è priva di un retroterra politico di unità. Da una parte ducati, dall’altra lo Stato pontificio. L’ideologia comunista, allora, si è posta fin dall’immediato dopoguerra come una sorte di mastice per narcotizzare le coscienze. E le coscienze sono state realmente addormentate. Tanto che è lecito affermare che in questa regione la politica, vissuta come dialogo, confronto, anche scontro tra diversi modi di intendere la gestione della cosa pubblica, è in crisi da decenni, compressa sotto uno strato costituito da egoismo economico e conservatorismo politico-sociale.
Venuta meno la competizione ideologica, oggi il PD privo di un riferimento ideale costituisce un aggregato particolare in cui varie anime coesistono in funzione del mantenimento del sistema di potere creato in questi anni, e che offre ancora ottime opportunità a chi vuole far carriera senza eccessivi sacrifici. Le parole altisonanti, le battaglie contro il governo egemonizzate dalla CGIL nascondono spesso una mancanza totale di idee ed un opportunismo fine a se stesso. In questo contesto la vecchia distinzione destra-sinistra perde di significato.
Non dimentichiamoci la celebre e opportuna invettiva del cardinale di Bologna, Giacomo Biffi, che definì il capoluogo “sazio e disperato”.
In Emilia Romagna manca un ceto medio dotato di autentica cultura liberale. Gli stessi cattolici impegnati in politica continuano in parte rilevante, a farsi guidare dalla stella polare dell’assistenzialismo di marca dossettiana. E il liberismo, sebbene interpretato con gli strumenti del cattolicesimo, non ha mai attecchito. E’ stato anche grazie al contributo di parte cattolica che il PCI prima e il PD DOPO, anche se ovunque si registrano evidenti difficoltà di esponenti PD di area cattolica a rimanere in un partito che per loro ammissione si conferma sempre più come l’erede del vecchio PCI , si sono accreditati come il partito tradizionalmente attento al cosiddetto sociale.
Dobbiamo dimostrare che non intendiamo distruggere lo stato sociale in Emilia Romagna più forte che in altre regioni d’Italia, bensì razionalizzarlo e consolidarlo per salvaguardarne le conquiste più rilevanti di fronte all’incapacità della sinistra di uscire dal dilemma benessere-pubblico. Quindi nessun liberismo selvaggio, ma maggiore attenzione al debito pubblico che se non governato nella nostra regione rischia di abbassare notevolmente il livello di benessere raggiunto in questi anni.
In particolare la gestione della sanità e dei servizi sociali, se non ripensata coinvolgendo adeguatamente il privato ed il privato sociale nella gestione di servizi particolari, esempio mense, assistenza domiciliare etc., rischia di esplodere a fronte anche di un aumento considerevole della popolazione anziana che reclama giustamente servizi ad alto costo che il settore non riesce più ad erogare. Suscita perplessità, per non dire profonda preoccupazione, il recente accordo stipulato tra la giunta regionale e le centrali cooperative per la gestione della sanità sia in materia di allocazione delle risorse sia per quanto concerne la creazione di poli privati che in mano alle cooperative rosse non garantirebbero quel legittimo pluralismo fondato su una sana competizione e sull’indispensabile tutela del malato e dei ceti meno abbienti che costituiscono l’essenzialità della prestazione sanitaria.

SICUREZZA E IMMIGRAZIONE

Basti osservare con quale demagogia è stato e viene gestito il fenomeno dell’immigrazione, in particolare quella proveniente dai paesi islamici. Per la verità il verbo “gestire” sembra assolutamente fuori luogo. La giunta regionale e le varie amministrazioni comunali, nel corso degli anni, si sono limitate nel migliore dei casi a fare da spettatori, non sognandosi neppure di delineare una sia pur generica politica dell’immigrazione o meglio dell’integrazione. E quando si è mossa, lo ha fatto come un elefante in una cristalliera, a suon di finanziamenti alle comunità islamiche. Mai si è assistito, ad un dibattito serio sulle compatibilità della cultura musulmana con la nostra e sulla necessità di preservare le nostre radici,cosa che non significa intolleranza o volontà di marginalizzare il diverso, bensì di favorire un processo di integrazione che eviti forzature di qualunque tipo. In questo senso la recente proposta della sinistra e del Ministro Riccardi di assegnare la cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia pecca come minimo di superficialità e di improvvisazione, in quanto non subordina questa concessione a precise verifiche sulla adesione incondizionata dei genitori alla tradizione ed alla cultura del nostro paese. E’ un problema emergente e nuovo per tutti gli enti locali della regione che si trovano a dover fare i conti con una richiesta di sicurezza della quale non sono pienamente consapevoli e che stentano a far proprio compiutamente stante la ristrettezza dei mezzi a loro disposizione e gli ostacoli a volte frapposti dagli organi dello stato incaricati di tutelare l’ordine pubblico.
Legato a quello dell’immigrazione, anzi sua naturale conseguenza, è il problema della sicurezza dei cittadini.
Che nel corso degli anni si è incancrenito, cronicizzato. Anche su questo terreno non si sono ascoltate proposte degne di essere discusse. E così l’emiliano romagnolo ha, oggi, la netta percezione di essere molto più insicuro di qualche anno fa. Ma continua a non porsi domande: vive il problema e lo sente sulla sua pelle, tuttavia è come se quello stesso problema gli piovesse letteralmente dal cielo, per un fenomeno atmosferico da film di fantascienza. E noi – mi riferisco al PDL ed all’intero centrodestra – ancora non riusciamo a stimolarlo, a scuoterlo, a svegliarlo, con una azione politica incalzante, propositiva, che per certi versi deve essere spregiudicata.

SCUOLA ADDOMESTICATA

Si parlava di coscienze narcotizzate. E quale ambiente migliore per prolungare il sonno se non quello di un’aula scolastica. L’intero apparato educativo, dalle elementari ai licei, è ancora egemonizzato dalla sinistra attraverso una presenza capillare di sindacalisti, collegato con gli enti locali e con molti dirigenti scolastici. Una subalternità così totale che farebbe rizzare i capelli in testa a qualunque uomo medio europeo, ma che in Emilia Romagna passa sotto il silenzio da decenni. E chiunque osi allontanarsi di un centimetro dall’ortodossia, viene immediatamente schedato e messo all’indice.
E che dire poi dello scorso spazio dato al pluralismo educativo, il monopolio della scuola pubblica, la volontà chiaramente e costantemente affermata da parte di assessori e sindaci di sfidare il governo in sede di applicazione delle leggi  Moratti e Gelmini. Si è arrivati al punto che la giunta dell’Emilia Romagna ha sostituito una precedente legge applicativa del diritto allo studio che aveva modificato seppur parzialmente il tradizionale impianto pubblicistico con una nuova disposizione legislativa vincolata al primato del settore pubblico e chiaramente discriminatoria nei confronti delle famiglie e delle scuole cattoliche. Anche recentemente nelle scuole di Bologna di ogni ordine e grado si è assistito al triste spettacolo di insegnanti e dirigenti collegati alla CIGL scuola, dimentichi del loro ruolo di dipendenti dello Stato che hanno distribuito o accettato la diffusione di volantini chiaramente diffamatori nei confronti della politica scolastica del Governo, prendendo posizione per le giunte di sinistra e facendo apertamente propaganda per gli ultimi referendum. È bene citare, peraltro, i recenti scioperi che hanno impedito un regolare svolgimento delle lezioni, e come esempio della persistente ideologizzazione della scuola bolognese, la sospensione dall’insegnamento della religione da parte di un dirigente notoriamente di sinistra, di una docente colpevole unicamente di avere insegnato le verità della religione cattolica con la solidarietà dei genitori.
A conclusione di queste mie riflessioni ritengo che pur nel contesto delicato che sta vivendo il nostro partito ed in presenza di evidenti priorità,  debba essere affrontata la problematica dell’Emilia Romagna e nel nostro caso particolare di Bologna in modo nuovo,incisivo e possibilmente unitario nell’indispensabile chiarezza politica.

PS: nonostante debolezze evidenti della sinistra, Bologna dopo un anno e mezzo di commissariamento per responsabilità della medesima (dimissioni di Delbono) è stata conquistata al primo turno con un candidato debolissimo e proprio perché tale con una campagna elettorale fortemente ideologizzata e priva di confronto serio sui temi programmatici.

On. Fabio Garagnani

Parlamentare Pdl