Renzi ha decretato la fine delle leggi di iniziativa popolare

In un momento di difficile situazione economica e di diffusa preoccupazione per il futuro, possono apparire marginali le proteste di chi si oppone alla decisione del governo di quintuplicare il numero di firme necessarie per una proposta di legge di iniziativa popolare (portandolo da 50.000 a 250.000), cosa che è in realtà una ferita profonda al concetto di democrazia partecipata. In anni di attività parlamentare ho constatato che ben poche iniziative legislative dei cittadini sono state in qualche modo esaminate o discusse dalle Camere, eppure la raccolta di firme più o meno consistente è servita a stimolare il legislatore ed il governo del momento, a determinati interventi nel senso richiesto dai proponenti, o comunque è stata una pressione dell’opinione pubblica sull’esecutivo ed un segno di interesse alla cosa pubblica (si pensi anche sotto l’aspetto visivo alla raccolta di firme in città e paesi ed al coinvolgimento di tanti cittadini con i dibattiti conseguenti). In questi giorni si parla giustamente di cessazione o modifica sostanziale del bicameralismo perfetto e, opportunamente di aumento dei poteri del premier, ma non ha senso rendere più difficile il ricorso (mi si perdoni il termine) ad uno strumento di democrazia diretta essenziale ed indicativo molto spesso dei bisogni reali del paese. Non vorrei che dietro questa decisione si nascondesse il desiderio di non disturbare il “manovratore” con presunte pressioni inutili; non c’è bisogno di una sola persona al comando ma di una comunità consapevole dei propri diritti e decisa a farli valere.